Il papavero e Lei

Quando entro a Mariano, lancio i pensieri altrove.

Fardello ingombrante per calpestare le sue zolle.

Sul ciglio porto lo sguardo a Valle Marria, lo purifico dal frastuono del mondo.

La mia anima scalza e monda, è pronta a danzare.

Qui è casa di Lei.

Un abbraccio antico e novello, placido ed irruento, mi torna addosso, mi corre contro.

Mi aspetta, rincorre accoglie.

Mi cinge ridendo. La voluttuosa leggiadria di qualcosa scritto sopra le nostre sillabe, le nostre scelte, i piani: il nostro incontro. Al di là di noi. Dei nostri scibili voleri.

In un mattino di pioggia Lei ha preso casa qua.

E’ arrivata come un raggio di parole non dette.

Come un pensiero che precede il sole.

Come la speranza che richiama un passato e rilancia un futuro.

E’ arrivata Lei a prendere casa qua.

Svampita con fra i capelli le coccinelle.

La macchia di colore con cui vestiva i miei pensieri.

Rosso.

Lei ama il rosso.

Quel mattino piovoso Lei, infreddolita, stretta fra i legacci e cuore vestiva nuovi orizzonti, io ne interravo le radici.

Complicità. Questo volevamo.

Da allora un filo rosso ci accompagna fuori da ogni labirinto.

 

Entro a Mariano morbido tappeto verde di ulivi e lungo la discesa lascio fuori il buio delle paure, dei dubbi, dei ripensamenti, prendo l’ingresso e mi accoglie, opulenta, rotonda, morbida, Lei.

Distesa lungo il sole. Sotto le pendici del Pollino. Un gatto sinuoso e indolente, accattivante e selvaggio. Un pensiero oltre il monte, verso il cielo.

Lo strapotere del suo abbraccio è la sfida a cui non so resistere.

Rido con lei.

Rido del suo riso.

Il riso cristallino e argenteo dell’ultima arrivata, dell’inaspettata, di chi non si pensava venisse, ma già era scritta molti molti molti decenni prima in altre zolle poi eradicate.

Ritorna Lei.

Arriva ed è tutto. E’ noi.

E il suo riso argenteo e nitido, fresco e accalorato, esonda, straborda, contagia, rotola , si increspa sull’onda dell’erba, fa giravolte nel vento, si accompagna alle nuvole e le travalica, si dondola sui raggi e li circuisce, si arrampica ai rami, li piega a una indomita allegria, alla spensierata coscienza dell’essere, presente, pieno, tutto, smemorato.

Oblio e ricordo.

Lungo la breccia delle sue risate, il tutto e il niente, il pieno e il vuoto.

Null’altro che il suono dei papaveri. Null’altro posto o presenza.

Di chi è innamorata Lei, se non di lui?

Del riso caldo dei papaveri. Della disarmante spampinata allegria. Dell’irruente voglia di colore. Del rosso fiammeggiante. L’esile fusto che non si piega al peso della fantasia.

E tanto questo amore è ricambiato che i teneri boccioli di papavero hanno per culla una oliva pelosa.

Ogni primavera canta il loro amore che infiamma i prati.

Io assisto incredula e commossa.

E’ tanto potente e tanto vigoroso che si perpetua e si rinnova. L’eco di Lei, ora, è oltre Mariano, verso Parco dell’Olmo, ed anche lì ride una piccola Lei, lì, con i suoi papaveri compagni.

 

Io non so cosa abbiano da dirsi un papavero e un ulivo.

 

Io non so Lei, sensuale matrona del campo, formosa, abbondante, tanta, nelle fronde, nei rami, nel tronco flessuoso e potente, negli odori dell’olio che verrà, nelle note profumate di verde, cosa racconterà al suo amato.

Cosa, questo cavalier servente, avrà da offrirle oltre la sazietà del suo colore, la calma placida e sopita del vento che gli spettina la corolla, oltre il suo fusto esile carico di un potente colore. Oltre il suo fuoco che divampa di amore e di sangue. Di sacrificio e passione.

 

Lo stupore.

Ecco.

Ecco di cosa, le foglie argentee, nelle notte sature di grilli e cicale, vanno vagando in cerca.

Lo stupore.

Quella freccia che alleggerisce l’anima e la riconduce verso la sua dimora.

Se non fossi io, testimone del loro amore, se non si consumasse davanti a me la loro perenne prossimità, se non vegliassi io, insieme a Lei, in attesa del ritorno di lui, se tutto ciò non fosse, non ci crederei.

Ma credetemi…ho dovuto crederci. Lei che assorda di silenzi e opulenti estati, e sovrabbondanza di ronzii, e smemorati canti di venti rochi e profondi, di gocce di brina e rugiada, di versi di upupe e voli di sparvieri,

lei che sazia di ombre e ripari dove il cuore desidera alloggiare,

lei, che basta allo sguardo in cerca d’infinito,

lei, forza e debolezza per chi l’ama,

lei è innamorata di un solitario timido papavero.

L’eco del loro amore tinge di rosso l’ immortalità.

 

Alessandra Paolini

Alessandra Paolini

Ex avvocato con una grande passione per la bioetica

Alla morte di suo padre si trova catapultata in una realtà che non conosce ed un po’ la spaventa. Non si lascia però sopraffare dal peso delle responsabilità e da tutte le fatiche che la guida di un’azienda agricola, fino a quel giorno vissuta e respirata solo indirettamente, può  portare.

Grazie alla sua forza di volontà e con l’indispensabile aiuto della famiglia, riesce a trasformare la sua azienda, Agricola Doria, in una vera eccellenza italiana.

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